Consiglio di Stato sez. IV, 26/04/2021, n.3309
AUTOTUTELA IN EDILIZIA LIMITI ALLA POTESTA’ AMMINISTRATIVA  

La vicenda processuale trae origine da un ricorso con cui una società impugnava innanzi al Tar un provvedimento recante la revoca di un permesso di costruire.

I ricorrenti, innanzi al Tar, contestavano la violazione del principio del legittimo affidamento da parte del Comune che aveva dato per anni esecuzione all’accordo contenuto nel contratto preliminare; la violazione del principio contrarius actus, nonché del principio di attribuzione dei poteri e delle competenze sancito in tema di revoca del provvedimento dall’ art. 21 della legge n. 241/90; la mancanza di motivazione; il travisamento dei fatti e grave difetto di istruttoria. Il TAR ha rilevato che il permesso di costruire è stato rilasciato in favore della società prima della scadenza del termine della condizione sospensiva  e sottolineava come "lo sviluppo fisiologico del rapporto avrebbe voluto che si attendesse prima l'avveramento della condizione, rilasciando solo dopo il titolo (alla Società divenuta a quel punto proprietaria).Il Comune ha invece rovesciato tale progressione e, con il rilascio del titolo, ha finito con il trasformare (ove ciò fosse possibile) una condizione sospensiva in risolutiva; tant'è che ha rinvenuto nel mancato avveramento della condizione posta a quel tempo una decadenza del titolo edilizio, tale da dover disporre la revoca. Quanto alla decadenza del permesso di costruire, l'art. 15 del D.P.R. n. 380 del 2001 non comprende altre ipotesi rispetto al mancato inizio o ultimazione dei lavori (co. 2), ovvero all'entrata in vigore di contrastanti previsioni urbanistiche (co. 4).Per altro verso, il titolo edilizio non è revocabile, ai sensi dell'art. 11, secondo comma, del D.P.R. n. 380/01. Va inoltre considerato che il permesso di costruire “non può essere subordinato a una condizione di efficacia". Il primo giudice ha poi riqualificato il potere esercitato dal Comune come annullamento d’ufficio del permesso di costruire e constatato come non siano state adeguatamente rappresentate le motivazioni sul pubblico interesse sottese all’annullamento.

La sentenza è stata appellata dal Comune e il Collegio , dopo un richiamo al contenuto dei patti intercorsi tra le parti, sottolineava come il thema decidendum della presente controversia non fosse la valutazione dell'efficacia della convenzione preliminare intercorsa tra il Comune e la società appellata, ovvero dei contenuti delle rispettive obbligazioni, bensì esclusivamente quella relativa alla legittimità dell'esercizio di potestà amministrative in materia di rilascio di titoli abilitativi edilizi.

Veniva sottolineato come la convenzione preliminare non potesse essere assimilabile alla figura del c.d. "permesso convenzionato" di cui all'articolo 28-bis del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 dicendo che ” In tale ipotesi infatti il "convenzionamento" serve a sopperire a esigenze di urbanizzazione dell'area senza dover necessariamente ricorrere a un piano attuativo, laddove invece nella specie l'accordo tra Comune e parte privata ha avuto oggetto obbligazioni "esterne" al titolo edilizio, ancorché strumentali a consentire la miglior fruibilità dei parcheggi da realizzare da parte della società e ad assicurare all'Amministrazione un'adeguata contropartita. Si tratta dunque di un mero accordo civilistico, sia pure connesso al rilascio del permesso di costruire, e non di un accordo riconducibile allo schema generale dell'articolo 11 della legge 7 agosto 1990, n. 241.”. il provvedimento impugnato costituirebbe quindi non un esercizio delle prerogative dell’Amministrazione in materia urbanistico-edilizia ma un’atipica forma di autotutela contrattuale rispetto al regolamento di interessi previsto dalla “convenzione preliminare”. Viene poi ribadito che non è infatti possibile apporre condizioni al titolo edilizio che siano estranee alla fase di realizzazione dell'intervento edilizio né è possibile funzionalizzare l'attività amministrativa ad interessi avulsi rispetto a quelli tipizzati dal legislatore (Cons. Stato, sez. IV, 24 marzo 2001, n. 1702). Ne deriva che eventuali condizioni, estranee al perseguimento di interessi pubblici tipizzati in materia urbanistico-edilizia, sono semplicemente tamquam non esset. La corte rigetta quindi l’appello pur puntualizzando il fatto che rimane impregiudicata la questione della efficacia della convenzione stipulata tra la società e il comune. 

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