Consiglio di Stato (in sede giurisdizionale), Sez. VI, sentenza n. 8 del 03 gennaio 2022
SUL CONCETTO DI PERTINENZA SOTTO IL PROFILO URBANISTICO 

Con la sentenza in esame, la Sesta Sezione del Consiglio di Stato si è nuovamente trovata a dover qualificare correttamente alcuni manufatti, costruiti da una Società Srl con sede in un Comune della Provincia Autonoma di Trento sullo spazio pubblico antistante la proprietà della stessa.

La vicenda storica, infatti, traeva origine proprio perché la Società – operante nel settore della commercializzazione di legname –, stante la difficoltà di reperire spazi necessari all’attività aziendale, utilizzava lo spazio pubblico antistante la sua proprietà come deposito di legname. Contro la stessa il Comune notificava un’ordinanza di rimessione in pristino dello stato dei luoghi e la rimozione dei manufatti che considerava abusivi, in particolare: una tettoia realizzata con travi e pilastri in legno e copertura in lamiera e setti in cemento armato con sopralzo in legno.

Avverso tale ordinanza, la Società dapprima presentava istanza di annullamento parziale in autotutela qualificando i propri interventi quale attività edilizia libera ai sensi dell’art. 78 della L.P. n. 45/2015 e ammissibili in quanto situati in zona con funzione produttiva rivolta proprio allo sviluppo della filiera foresta-legno. Il Comune respingeva l’istanza e la Società presentava, quindi, ricorso straordinario al Presidente della Repubblica deducendo:

-        la mancata qualificazione dei manufatti come “costruzione accessoria” ai sensi dell’art. 3, co. 4, lett. b del Decreto del Presidente della Provincia Autonoma di Trento n. 8-61/2017 e/o come “fabbricato rurale minore” ai sensi dell’art. 78 della L.P. 15/2015;

-        la violazione del principio del legittimo affidamento, in ragione della presenza ultraventennale dei fabbricati di cui l’amministrazione appellata aveva ordinato e ingiunto la demolizione.

A seguito dell’opposizione del Comune, il ricorso veniva trasporto innanzi al TRGA per la Provincia di Trento che a sua volta lo respingeva.

La Società, quindi, proponeva appello contro la pronuncia del Tribunale per i seguenti motivi:

-        insisteva sulla natura pertinenziale e accessoria dei manufatti rispetto ai fabbricati principali, che non poteva considerarsi “volume edilizio” ai sensi della disciplina provinciale in quanto aperti su quattro lati con copertura rimovibile o addirittura assente;

-        la pertinenzialità rispetto all’edificio e la presenza di elementi orizzontali in legno e metallo (quindi facilmente rimovibili).

Tali interventi, dunque, dovevano essere qualificati come interventi di edilizia libera ai sensi del citato art. 78 L.P. 15/2015.

Tuttavia, anche il Consiglio di Stato con la pronuncia in esame, rigettava la qualificazione giuridica fornita dalla Società. Secondo i giudici, infatti, essa contrastava (o meglio, le caratteristiche delle opere edificate contrastavano) con i criteri individuati dalla giurisprudenza relativamente alla natura temporanea di un’opera, alle peculiarità della nozione di pertinenza in ambito urbanistico ed alle caratteristiche che deve avere il c.d. pergolato.

In primo luogo, ricorda la Corte che, dal punto di vista prettamente edilizio, si è consolidato l’orientamento in base al quale si deve seguire “non il criterio strutturale, ma il criterio funzionale”, per cui un’opera se è realizzata per soddisfare esigenze che non sono temporanee – come nel caso di specie in cui i manufatti sono stabilmente funzionali alle esigenze dell’impresa - non può beneficiare del regime proprio delle opere precarie anche quando le opere sono state realizzate con materiali facilmente amovibili (tale ultima circostanza deve per altro escludersi nel caso in esame) (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 1291 del 1° aprile 2016).

In secondo luogo, il Consiglio di Stato consolida il proprio orientamento secondo il quale ai fini urbanistici ed edilizi il concetto di pertinenza ha un significato del tutto diverso rispetto alla nozione civilistica e si fonda sulla assenza di: a) autonoma destinazione del manufatto pertinenziale; b) incidenza sul carico urbanistico; c) modifica all’assetto del territorio (cfr. Cons. di Stato, sez. IV, 23 luglio 2009, n. 4636; Cons. di Stato, sez. IV, 16 maggio 2013, n. 2678; Cons. di Stato, sez. V, 11 giugno 2013, n. 3221).

Infine, quanto al concetto di pergolato, i giudici ricordano che si può configurare un pergolato quanto si è al cospetto di “un manufatto leggero, amovibile e non infisso al pavimento, non solo privo di qualsiasi elemento in muratura da qualsiasi lato, ma caratterizzato dalla assenza di una copertura anche parziale con materiali di qualsiasi natura, e avente nella parte superiore gli elementi indispensabili per sorreggere le piante che servano per ombreggiare: in altri termini, la pergola è configurabile esclusivamente quando vi sia una impalcatura di sostegno per piante rampicanti e viti” (Cons. Stato, Sez. VI, 2 luglio 2018, n. 4001).

Alla luce di tali considerazioni, conclude il Consiglio di Stato, l’amministrazione ha correttamente qualificato le opere quali “costruzioni” di cui alla NTA del PRG del Comune in questione nel cui definizione rientra “qualsiasi opera avente i caratteri della solidità, della stabilità ed immobilizzazione al suolo, anche mediante appoggio o incorporazione o collegamento fisso a un corpo di fabbrica, indipendentemente dai materiali impiegati per la sua realizzazione, dalla sua destinazione e dal fatto che costituisca volume urbanistico. Costituiscono costruzione, oltre agli edifici e ai fabbricati, anche pertinenziali, i muri e gli altri manufatti rilevanti a fini urbanistici e paesaggistici”.

In altre parole, la tesi della Società appellante non può trovare accoglimento perché le opere dalla stessa realizzate, per le loro dimensioni, caratteristiche e finalità, rappresentano costruzioni urbanisticamente rilevanti, che non possono essere ricondotte alla nozione di opera accessoria di cui all’art. 3, co. 4, lett. b) del Regolamento urbanistico-edilizio provinciale che riferisce solamente ad una “costruzione di limitate dimensioni, accessoria alla funzione principale dell’edificio o all’attività dell’area, quali depositi attrezzi, piccoli fienili e legnaie realizzati secondo le previsioni tipologiche e dimensionali stabilite dagli strumenti urbanistici comunali, serre solari e bussole d'ingresso aventi profondità massima di 2,00 metri, pensiline con sporgenza non superiore a 2,00 metri e tettoie, se previste dal PRG, di superficie, come risultante dalla proiezione delle falde sul piano orizzontale, inferiore a 15,00 metri quadrati” .

Tali caratteristiche distinguono altresì nettamente le suddette opere da un pergolato che, condividendo quanto stabilito dal Giudice di primo grado, ai sensi dell’art. 78, co. 2 L.P. 15/2015 riguarda “strutture di pertinenza di un edificio […] composti da elementi verticali e sovrastanti elementi orizzontali in legno o in metallo”.

Anche il secondo motivo di appello, ovvero la violazione del principio del legittimo affidamento del privato, veniva disatteso dal Consiglio di Stato in quanto, secondo un ormai consolidato orientamento in materia, l’ordine di demolizione di un manufatto abusivo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede alcuna motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse che impongono la rimozione dell’abuso, e tale principio non ammette deroghe.

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