Dopo aver riunito due ricorsi promossi dallo Stato contro altrettante disposizioni legislative regionali, nello specifico l’art. 2 della L.R. Puglia n. 59/2018 e l’art. 7 della L.R. Puglia n. 5/2019, in quanto vertenti su questioni simili -per non dire corrispondenti-, la Corte Costituzionale ne ha vagliato la loro legittimità costituzionale: in particolare, il lavoro della Corte non si è basato solamente sulle norme della Costituzione, ma ha anche tenuto conto della normativa statale in tema di edilizia, alla quale tutte le regioni si devono attenere per poter adottare la loro normativa di dettaglio.
L’art. 2 della L.R. Puglia n. 59/2018 è stato ritenuto costituzionalmente illegittimo in quanto contrastante con gli artt. 3 e 117, terzo comma, Cost., con gli artt. 36 e 37 del T.U. edilizia e con l’art. 5, comma 10, del D.L. n. 70 del 2011 (cosiddetto “decreto sviluppo”): esso, infatti, è stato tacciato di irragionevolezza, in quanto non si limitava ad interpretare in maniera autentica un ulteriore disposizione regionale (id est, l’art. 4, comma 1, della L.R. Puglia n. 14/2009) inerente la ricostruzione di edifici, ma ne ampliava in via retroattiva la portata, permettendo ex post sistemazioni di volumi che non corrispondessero allo stato di fatto preesistente. Si creava in tale maniera un conflitto con il principio fondamentale della cosiddetta “doppia conformità edilizia”, che richiede la coerenza del manufatto con la disciplina urbanistica sia quando è stato edificato, sia quando viene domandato l’accertamento di conformità: la norma regionale, intervenendo retroattivamente in via innovativa, portava ad un disallineamento tra i requisiti edificatori a cui i privati e le Pubbliche Amministrazioni dovevano attenersi. Ciò eludeva la norma statale sulla c.d. “ricostruzione ricostruttiva”, che ricomprendeva il vincolo di sagoma, determinando una sorta di sanatoria per gli edifici non rispettosi dei canoni temporalmente antecedenti, che venivano salvati dalla successiva disposizione “di interpretazione”.
Quanto all’art. 7 della L.R. Puglia n. 5/2019, mediante il quale la Regione voleva inserire in pianta stabile, e con efficacia pro futuro, una prescrizione riproduttiva dell’art. 2 della L.R. Puglia n. 59/2018 (poi abrogato dall’art. 8 della L.R. Puglia n. 5/2019), anch’esso è stato ritenuto costituzionalmente illegittimo in quanto confliggente con l’art. 117, terzo comma, Cost., in relazione all’art. 5, comma 1, lettera b), del D.L. n. 32 del 2019 (che ha modificato il comma 1-ter dell’art. 2-bis del T.U. edilizia), che, seppur entrato in vigore qualche giorno successivo rispetto alla legge regionale oggetto di giudizio, è stato ritenuto un parametro interposto utilizzabile in quanto esprimente un principio fondamentale della materia. La norma regionale, infatti, voleva lasciare ai privati libertà nell’erigere edifici anche senza rimanere nei limiti (volumetrici e di sedime) segnati dalle precedenti costruzioni demolite, ponendosi in aperto contrasto con la sopra citata disposizione statale, che al contrario richiedeva la coincidenza dell’area di sedime e del volume dell’edificio ricostruito con quello demolito e nei limiti dell’altezza massima di quest’ultimo.
Tutto, insomma, in linea con una consolidata giurisprudenza che potrebbe subire alcuni scostamenti a seguito della conversione (11/09/2020) in legge del decreto-legge 16/07/2020, n. 76. Ma questa è un’altra storia che seguiremo nei suoi sviluppi anche in tema di distanze.
Avv. Pierfrancesco Zen