Questo Studio, nella persona dell’Avv. Pierfrancesco Zen, si è trovato a discutere innanzi alla Corte Costituzionale un’importante questione di diritto.
Con la sentenza in esame si aggiunge un nuovo e ulteriore tassello al panorama delle sentenze emesse dalla Corte Costituzionale durante e a seguito del periodo pandemico, in particolare - ma non solo - in tema di obbligatorietà della vaccinazione per alcune categorie professionali contro il Sars-CoV-2 terminata il 1° novembre 2022 a seguito dell’emanazione del d.l. 162/2022, convertito con modificazioni in legge n. 199 del 30 dicembre 2022.
La sentenza, pur non discostandosi dai precedenti stabiliti dalla Consulta (si vedano soprattutto le sentenze n. 14 e 15 del 2023) introduce, tuttavia, un particolare principio che, come si vedrà, potrebbe aprire uno spiraglio di luce se correttamente applicato in tutte quelle cause in cui il tema del rapporto tra diritto e scienza è fondamentale.
Andiamo con ordine.
Al cuore della questione vi era la circostanza per cui, in tema di vaccinazione anti Covid per i sanitari guariti, la disciplina aveva finito per trovare sede concreta in una serie di Circolari del Ministero della Salute, cui si erano anche aggiunte alcune Note del relativo Capo di Gabinetto, con riguardo ai tempi che dovessero/potessero decorrere dalla guarigione per far scattare l’obbligo e la conseguente sospensione dal lavoro, in caso di mancato rispetto dello stesso (il tema era stato sollevato dal Dott. Beghini del Tribunale di Padova con apposita Ordinanza di rimessione alla Corte).
Si era quindi creata una grave confusione tra periodi di durata diversa indicati in diversi provvedimenti amministrativi, con le AUSL competenti che pretendevano di far valere gli uni o gli altri, diventando di fatto arbitri della sospensione o meno dei sanitari attraverso quelle che si palesavano essere “preferenze” del Dirigente di turno.
Secondo il giudice che aveva portato la questione al vaglio della legittimità, il problema riguardava la stessa possibilità che la legge potesse delegare a degli atti amministrativi, quali sono le Circolari, le modalità pratiche di realizzazione di un obbligo vaccinale.
In tal modo, sempre secondo il giudice rimettente, si finiva per violare la riserva di legge prevista per questa materia dall’art. 32 Cost. in quanto, le modalità pratiche, da cui derivava anche la potenziale perdita del lavoro, avrebbero finito per essere una sorta di delega in bianco da parte del legislatore al Ministero della Salute.
La Corte Costituzionale, da una parte, non ha aderito a questa ricostruzione[1], ritenendo che le particolari circostanze di sviluppo del virus avrebbero permesso di agire nel modo indicato in quanto, ferma restando la fonte normativa primaria dell’obbligo, occorreva lasciare la necessaria discrezionalità tecnica e temporale al Ministero della Salute per rendere concretamente applicabile l’obbligo stesso in maniera sufficientemente adeguata alla realtà mutevole in essere.
Senza, cioè, dover necessariamente passare ogni volta attraverso un provvedimento normativo primario.
Assunta questa posizione di massima, però, la Corte Costituzionale proprio con la sentenza n. 171/2023 la concretizza e vivifica, con una statuizione, posta proprio al termine della decisione, che ne costituisce il suo portato fondamentale che, come accennato all’inizio, non risulta affatto riportata o compresa dalla stampa che finora risulta essersene occupata.
E precisamente osserva sul punto la Corte Costituzionale:
L’eventuale scorretto esercizio del potere attribuito all’amministrazione, laddove si ritenesse non attendibile la valutazione tecnico-scientifica che ne è necessariamente alla base, non si riverbera in un vizio della norma di legge – che, nei limiti di quanto consentito dalla riserva relativa di cui all’art. 32 Cost., ha demandato all’amministrazione detta valutazione – ma determina, semmai, l’illegittimità della circolare amministrativa, che potrà essere conosciuta dai giudici comuni, cui pure ne è rimessa l’interpretazione.
Da queste meditate e rilevanti considerazioni conseguono almeno tre importanti conseguenze che non potranno essere ignorate dai Giudici.
In sintesi.
1. E’ gravemente scorretto liquidare la decisione come di mero rigetto, nel senso di aver negato rilevanza generale alla questione sollevata. Questo perché, se è vero che la Corte Costituzionale non si è pronunciata per l’illegittimità del rinvio alle Circolari effettuato con Legge in tema di modalità di adempimento pratico dell’obbligo vaccinale, che era l’unico aspetto soggetto al suo vaglio di legittimità (le Circolari non sono suscettibili dello stesso), la medesima Corte ha evidenziato che, non perché in una Circolare si affermi che la stessa consegua ad una delega normativa, ciò impedisca di valutarne l’eventuale scorrettezza intrinseca.
2. Ma che, anzi, tale possibile scorrettezza sul piano degli aspetti tecnico-scientifici della Circolare (e peggio nei confronti di una nota di Gabinetto come spesso usata dagli apparati), integralmente riconducibili al Ministero della Salute, possono e devono essere oggetto di verifica da parte del giudice “comune” (quindi “ordinario” e non necessariamente amministrativo), il quale ha quindi più che mai il compito di non fermarsi di fronte alla “facciata” della Circolare attuativa di una delega normativa. Egli potrà e dovrà attivarsi con gli strumenti a sua disposizione (ad esempio CTU o Verificazioni, richieste ai soggetti coinvolti di dati ex artt. 210-213 del c.p.c. ecc.).
3. Pertanto e in conclusione, costituisce potere e dovere del giudice, investito della questione, chiedere dapprima al Ministero della Salute i criteri tecnico-scientifici che, nella vicenda in esame, avrebbero giustificato l’altalena di periodi diversi entro i quali doversi conformare all’obbligo vaccinale (laddove non emergenti dalle Circolari stesse come, nel caso, appare acclarato), per poi procedere ad una loro valutazione, anche nel merito.
CONCLUSIONE
In assenza di tale attività istruttoria, un’eventuale decisione del Giudice in favore del termine indicato da una Circolare o da un’altra, o da una Nota di Gabinetto, risulterà quindi privo di motivazione giuridicamente valutabile e, pertanto, puramente arbitrario.
La mancanza di questa attività istruttoria sarà sufficiente motivo anche per eventuali appelli contro le pronunce di Giudici che, volutamente o meno, tralascino di approfondire, pur richiesti dalle parti, il dato tecnico e medico.
Un modo elegante e criptato per inviare un messaggio a chi è chiamato a decidere su questioni di (mala) sanità anche quando in gioco ci sono le politiche vaccinali.
[1] La Corte Costituzionale ha ritenuto la questione inammissibile e non fondata.
Precisamente, la questione sollevata è inammissibile in riferimento all’art. 23 Cost. che, per la Corte, risulta del tutto inconferente in quanto le disposizioni volte ad imporre un trattamento sanitario trovano il loro specifico riferimento costituzionale nel solo art. 32, co. 2 Cost.
Tuttavia, anche in riferimento a tale parametro la Corte deciso per l’inammissibilità e l’infondatezza della questione. Utilizzando le parole della Consulta: «Questa Corte ha già affermato che l’art. 32 Cost. pone una riserva di legge relativa (sentenza n. 258 del 1994), sicché la Costituzione “non fa ricadere sul legislatore l’obbligo di introdurre una disciplina in tutto compiuta” (sentenza n. 25 del 2023), ma ammette che questa sia variamente integrata da atti normativi secondari, così come consente “all’amministrazione [di] adottare atti chiamati a specificare e concretizzare il complesso dei precetti normativi” (ancora sentenza n. 25 del 2023). Nei casi di riserve relative, pertanto, ciò che la legge è tenuta a fare, quando conferisca poteri amministrativi, è definire contenuti e modalità del loro esercizio (sentenze n. 5 del 2021 e n. 174/2017) che delimitino la discrezionalità dell’amministrazione, la cui attività deve sempre trovare “una, pur elastica, copertura legislativa” (sentenza n. 115 del 2011).
La particolare intensità di tutela che certamente l’art. 32 Cost. accorda al diritto alla salute […] non esclude, pertanto, che la legge, una volta individuata la misura sanitaria imposta, preveda un puntuale intervento dell’amministrazione “nell’ambito di una discrezionalità da esercitarsi sulla base di valutazioni soggette al sindacato di attendibilità tecnico-scientifica esperibile dall’autorità giurisdizionale” (sentenza n. 25 del 2023)».
Nel caso di specie, la legge aveva ben individuato i soggetti tenuti a sottoporsi al trattamento sanitario, coloro i quali per accertati motivi di saluti non potevano essere sottoposti a vaccinazione, la procedura da seguire per l’accertamento dell’obbligo e i soggetti chiamati a porla in essere, nonché le conseguenze derivanti dal provato inadempimento. Ancora, era nella legge stessa che si prevedeva il differimento della vaccinazione per gli operatori sanitari che fossero stati contagiati dal virus, per i quali, tuttavia, l’obbligo restava.
Afferma, dunque, la Corte che correttamente il legislatore, nel delineato quadro normativo primario, si è limitato a demandare a “circolari del Ministero della Salute” - quali strumenti capaci di adattarsi ad una situazione in costante divenire - solamente l’individuazione del termine di differimento della vaccinazione per gli operatori sanitari contagiati e guariti che doveva e deve essere compiuta sulla base di dati tecnico-scientifici.