Con la sentenza in esame la Corte d’Appello di Venezia ha confermato integralmente la sentenza emessa in primo grado dal Tribunale di Padova in favore di alcuni clienti truffati da un asserito falsus procurator. La parte danneggiata è stata seguita dallo Studio Legale Zen & Parolin che è risultato vittorioso in tema di contratti di assicurazione, con ingente condanna dell’Assicurazione appellante al rimborso delle spese di lite.
La vicenda processuale può essere così brevemente riassunta.
In primo grado, la Compagnia Assicuratrice citava in giudizio, con tre distinti atti introduttivi, tre diversi soggetti, tutti seguiti dall’Avv. Pierfrancesco Zen, chiedendo l’accertamento negativo di qualsiasi rapporto contrattuale intervenuto tra l’attrice e i convenuti in riferimento ad alcune polizze asseritamente stipulate e ad altre polizze che l’Assicurazione stessa affermava non essere state mai concluse.
Più precisamente, l’Assicurazione deduceva che, con riferimento alle prime, esse erano state stipulate a mezzo di un’agenzia di Castelfranco Veneto e che il contratto di agenzia era stato risolto nel 2015, escludendo la validità, l’efficacia o comunque l’opponibilità a sé di ulteriori polizze e chiedendo, nel caso di loro ritenuta validità, il versamento dei relativi premi mai incassati.
Dal canto loro, i convenuti costituitisi in giudizio innanzi al Tribunale di Padova affermavano di aver sottoscritto plurime polizze per il tramite di un agente, operante presso la predetta agenzia di Castelfranco Veneto fino al febbraio 2015 e di avere sporto denuncia nei confronti dello stesso dopo aver appreso che i premi dagli stessi regolarmente versati non erano stati consegnati all’Assicuratrice proponente.
Ancora, in via riconvenzionale, sul presupposto della propria buona fede e della responsabilità che fa capo al mandante, chiedevano la restituzione dei premi versati, previa chiamata in giudizio dell’agente (rimasto contumace) nei cui confronti pure avevano esteso tale domanda.
Riuniti i procedimenti e disposta CTU, con sentenza n. 1361/2019 il Tribunale di Padova accoglieva la domanda riconvenzionale proposta dai convenuti, accertando e dichiarando la validità e l’efficacia delle polizze e condannando l’attrice al pagamento delle spese processuali e di CTU. In particolare, il giudice di primo grado faceva applicazione dell’art. 118 del D.Lgs. 209/2005 ritenendo inefficace il generico disconoscimento della documentazione proveniente dall’Assicurazione operato dall’attrice e reputando al tempo stesso raggiunta la prova dei pagamenti effettuati dai convenuti a fronte dell’emissione delle polizze.
Avverso detta sentenza l’Assicurazione soccombente proponeva appello formulando due motivi di gravame:
- l’errata applicazione della disciplina in tema di disconoscimento;
- la violazione da parte del giudice di prime cure dell’art. 2721 c.c.
I convenuti si costituivano chiedendo conferma della sentenza impugnata riportandosi espressamente a tutte a tutte le eccezioni, domande e difese, sia in merito che istruttorie, formulate nel giudizio di primo grado.
Come anticipato, anche la Corte d’Appello di Venezia ha ritenuto non fondate le ragioni dell’appellante.
Anche in questo caso, la Corte ha ritenuto che l’Assicurazione si fosse limitata a contestare genericamente i documenti prodotti senza tuttavia contestare né il rapporto con l’agente né il potere che lo stesso aveva di sottoscrivere polizze e quietanze per conto della proponente e neppure che la modulistica adottata differisse da quella in uso alla società.
Pertanto, la Corte ha ritenuto corretta l’applicazione dell’art. 118 del D.Lgs. 209/2005 operata dal Tribunale di Padova posto che lo stesso stabilisce che “il pagamento del premio eseguito in buona fede all’intermediario o ai suoi collaboratori si considera effettuato direttamente all’impresa di assicurazione”.
Secondo il Giudice di secondo grado, infatti, “l’appellante non ha contestato il titolo posto dal Tribunale a fondamento della decisione, né ha contestato la buona fede degli odierni appellati, pretendendo di sottrarsi alla pretesa di rimborso dei premi versati alla tregua della propria buona fede, profilo che qui non rileva, proprio in relazione al fatto che la norma in esame sancisce la responsabilità diretta dell’assicuratore, salvo solo la prova della mancanza di buona fede in capo all’assicurato, prova che era onere dell’appellante fornire, posto che la buona fede, secondo il principio generale, si presume”.
Anche con riferimento al secondo motivo di gravame, la Corte ha ritenuto che il Tribunale avesse correttamente raggiunto la piena prova, da parte degli allora convenuti, dei pagamenti eseguiti in contanti distinguendo giustamente tra le quietanze prodotte, le somme che trovavano riscontro in pagamenti cona assegno, bancario o circolare, dalle somme versate in contanti considerando anche la deposizione del testimone dipendente di uno degli appellati. Inoltre, l’accertamento tecnico espletato aveva dato riscontro positivo sull’avvenuto versamento di tutti i premi quietanzati.
L’Assicurazione nuovamente soccombente, dunque, dovrà restituire agli appellati i premi versati e dovrà altresì rimborsare le spese di lite per il giudizio di secondo grado a favore degli stessi.
Le politiche aggressive delle Compagnie assicurative non sempre risultano fruttuose!