La Corte D’Appello di Venezia, dando una esemplare lezione nel merito sul tema delle riserve d’appalto, lascia invece alcuni dubbi relativamente ad un principio di diritto fondamentale in tale settore.
Chiamata a decidere in una causa avente ad oggetto l’esecuzione di un contratto d’appalto, la Corte d’Appello veneziana si addentra a fondo nel merito della questione e censura tutte le numerose riserve avanzate dall’appaltatore, ammontanti complessivamente a più di 4 milioni di Euro.
La decisione, pregevolmente assunta e segno di grande cura da parte dei giudici, lascia però aperto un dubbio in puro diritto relativamente a due principi cardini dell’ordinamento, quelli della successione delle leggi nel tempo e del tempus regit actum.
Nel caso di specie, il problema si poneva rispetto ad una questione pregiudiziale sollevata dall’ente pubblico appaltante, e che in primo grado era già stata dirimente per la sua vittoria: nel momento della conclusione dell’appalto, era in vigore il Decreto 19 aprile 2000, n. 145, che all’art. 33 stabiliva un termine di decadenza di 60 giorni – variamente decorrente – entro il quale l’appaltatore potesse (rectius, dovesse) far valere in giudizio eventuali riserve sorte durante l’esecuzione delle opere; successivamente, tale disposizione è stata tacitamente abrogata dalla legge n. 166/2002.
Secondo quanto affermato dai giudici d’appello, e diversamente da quanto già deciso in primo grado, la norma dell’art. 33 non trovava più applicazione nella res litis, in quanto espunta dall’entrata in vigore della legge posteriore. Tale ragionamento non può andare esente da critiche poiché non tiene in considerazione un principio generale e fondamentale dell’ordinamento, quello del tempus regit actum. La normativa da applicare alla fase esecutiva non può che essere la medesima vigente nel momento della conclusione dell’appalto, senza le sopravvenute modifiche legislative successive a tale momento temporale. Ciò è essenziale per permettere alle parti di conoscere il modo in cui sono regolati i loro rapporti e di prevedere le evenienze che potranno porsi loro di fronte. Tale principio viene derogato solo dalle disposizioni che espressamente disciplinano in modo retroattivo; queste norme non possono che essere rare e fortemente motivate dal legislatore nella loro ragionevolezza e proporzionalità, andando altrimenti, in maniera illegittima e non accettabile, a cambiare le carte nelle mani delle parti.