La sentenza in esame chiarisce se dinnanzi all’annullamento in sede giurisdizionale del permesso di costruire, a cagione di un vizio sostanziale non emendabile, l’art. 38 del Testo Unico sull’edilizia consenta, o meno, all’amministrazione di imporre la sola sanzione pecuniaria pari al valore venale delle opere o loro parti abusivamente eseguite, con effetti equivalenti al conseguimento del permesso di costruire in sanatoria. L’art.38 dpr 380/2001 opera un bilanciamento tra la tutela del legittimo affidamento del cittadino e la tutela del corretto assetto urbanistico ed edilizio attraverso la fiscalizzazione. La deroga al principio di necessaria repressione a mezzo di demolizione degli abusi edilizi è subordinata a due condizioni: 1) la presenza di una motivata valutazione circa l’impossibilità della rimozione dei vizi delle procedure amministrative e 2) una motivata valutazione circa l’impossibilità di restituzione in pristino. La Corte si è concentrata sulla prima condizione contestando il filone giurisprudenziale per cui la fiscalizzazione dell’abuso prescinderebbe dalla tipologia del vizio (sostanziale o procedurale) essendo la “motivata valutazione” l’unico elemento sul quale il sindacato del giudice amministrativo dovrebbe concentrarsi. Nella sentenza - che risulta interessante proprio per la ricognizione complessiva della materia - è stato segnalato che esistono tre filoni giurisprudenziali in merito. Un primo orientamento consentirebbe la fiscalizzazione dell’abuso per ogni tipo di vizio, formale o sostanziale, che ha portato all’annullamento dell’originario titolo (C.d.S. sez. VI 19 luglio 2019 n.5089, C.d.S. sez. VI novembre 2018 n. 6753, sez. VI 12 maggio 2014 n.2398, da ultimo Sez. VI n. 2419/2020). Un secondo orientamento più restrittivo che ritiene la fiscalizzazione applicabile soltanto nel caso dei vizi formali o procedurali emendabili (C.d.S sez. VI 11 febbraio 2013 n. 753, sez. V 22 maggio 2006 n. 2960 e 12 ottobre 2001 n.5407, sez IV 16 marzo 2010 n.1535, e più di recente, anche la stessa sezione VI, 9 maggio 2016 n. 1861). Infine esiste un orientamento intermedio, condiviso dalla Corte del caso de quo, che ritiene possibile la fiscalizzazione, oltre che nei casi di vizio formale, anche nei casi di vizio sostanziale però emendabile dato che l’abuso verrebbe eliminato con le opportune modifiche al progetto prima del rilascio della sanatoria stessa (C.d.S. sez. VI 10 settembre 2015 n. 4221, sez. VI 8 maggio 2014 n. 2355 e sez. IV 17 SETTEMBRE 2012 N. 4923).
Viene rilevato come la disposizione in commento faccia specifico riferimento ai vizi “delle procedure” delimitando così l’operatività del temperamento. Il vaglio di legittimità della operata fiscalizzazione dell’abuso deve avere ad oggetto proprio la natura del vizio. L’eccezionale potere di sanatoria dell’art. 38 non può diventare una sorta di condono amministrativo subordinato alla valutazione dell’amministrazione ma è limitato a vizi che attengono esclusivamente al procedimento autorizzativo i quali non possono ridondare in danno del privato che legittimamente ha confidato sulla presunzione di legittimità di quanto assentito. La corte in conclusione chiarisce quale debba essere l’interpretazione di uno dei presupposti di applicabilità dell’art. 38 rifacendosi ad una corrente giurisprudenziale restrittiva per evitare che questo strumento venga sfruttato per eludere le disposizioni in materia edilizia. Per bilanciare una visione così rigorosa della norma è stato inserito il richiamo alla sentenza 500/99 dove si è afferma il principio della risarcibilità degli interessi legittimi. L’applicazione di questo principio consente di mantenere saldo il rispetto delle procedure amministrative e dei valori urbanistici e ambientali, attraverso l’applicazione della fiscalizzazione per i soli vizi procedurali, e allo stesso tempo di tutelare il legittimo affidamento del cittadino consentendogli una tutela risarcitoria contro l’amministrazione che ha rilasciato l’invalido permesso di costruire. Il richiamo alla sentenza 500/99 non è di poco conto, il principio della risarcibilità degli interessi legittimi avrebbe dovuto avviare un cambiamento all’ interno delle p.a. tuttavia molto spesso questo principio è stato aggirato o disatteso dalla giustizia amministrativa. L’abile bilanciamento di interessi proposto dalla sentenza in esame diventa effettivo solo se vengono seguite correttamente le indicazioni interpretative della norma ma anche un principio, scomodo per le pubbliche amministrazioni, come quello di risarcibilità degli interessi legittimi.