In materia di edilizia, per definirsi precario un immobile, tanto da non richiedere il rilascio di un titolo abilitativo, è necessario ravvisare l’obiettiva ed intrinseca destinazione ad uso temporaneo per specifiche esigenze contingenti, non rilevando che esso sia realizzato con materiali non abitualmente utilizzati per costruzioni stabili. Ne consegue che non può essere qualificata come precaria un’opera che si presenti di notevole consistenza, anche alla luce della funzione commerciale da essa assolta.
Il tema affrontato dalla Corte in cassazione con la sentenza in esame attiene alla “annosa” questione delle condizioni in presenza delle quali un’opera edilizia può ritenersi precaria e, in quanto tale, soggetta ad un regime giuridico di favore che escluda la necessità del permesso di costruire. La vicenda processuale segue alla sentenza con cui la Corte d’Appello aveva confermato la condanna inflitta dal tribunale ad un imputato, in relazione al reato ex art. 44, lett.c) d.P.R. n. 380/2001. Ricorrendo in Cassazione, la difesa ne sosteneva all’erroneità, osservando come, da una parte, la Corte d’Appello aveva negato che la natura precaria dell’opera derivasse dalla tipologia dei materiali utilizzati e, dall’altra, aveva affermato il contrario, sostenendo che l’opera era “consistente” e quindi non precaria.
Si aggiungeva che l’opera in concreto realizzata non rientrava tra gli interventi edilizi di cui all’art. 3, d.P.R. n. 380/2001, trattandosi di opera temporanea e non fissata al suolo, rimovibile, come confermato anche da diverse testimonianze.
La Cassazione, nel disattendere la tesi difensiva, ha affermato il principio di cui sopra.