L’interessante tema affrontato dalla Corte Costituzionale con la sentenza in esame attiene alla sanatoria degli abusi edilizi. Il caso di specie, in particolare, concerne l’art. 12, comma 4 bis della legge regionale n. 19 del 2009, che così dispone: “4-bis. Le disposizioni di cui all’art. 36 del d.P.R. n. 380/2001 si applicano anche agli interventi previsti dalla presente legge e realizzati dopo la sua entrata in vigore, privi di titolo abilitativo o in difformità da esso, ma che risultano conformi alla stessa legge sia al momento della realizzazione degli stessi interventi, sia al momento della presentazione della domanda”.
Tale previsione sarebbe in conflitto con l’art. 36 del TUE, disposizione cui la Corte (con la sentenza n. 101 del 2013) aveva già riconosciuto natura di principio fondamentale nella materia «governo del territorio», nella parte in cui subordina il rilascio del titolo abilitativo in sanatoria alla riscontrata presenza del requisito della cosiddetta «doppia conformità», cioè della conformità dell’intervento alla disciplina urbanistica ed edilizia in vigore sia al momento della sua realizzazione sia al momento della presentazione della domanda di sanatoria.
Al contempo, tuttavia, la disposizione censurata si differenzia sensibilmente dal tenore letterale dello stesso in termini tali da favorirne possibili letture alternative non necessariamente in linea con il concetto della «doppia conformità», così come cristallizzato dalla Corte con il precedente già citato.
Con sentenza n. 107/2017, la Corte Costituzionale ha dichiarato parzialmente illegittimo l’art. 12, comma 4-bis, della legge della Regione Campania 28 dicembre 2009, n. 19, precisamente, “nella parte in cui fa riferimento «alla stessa legge» anziché «alla disciplina edilizia ed urbanistica vigente»”.
Dunque, i Giudici hanno dichiarato la parziale illegittimità non sul riferimento alla sanatoria di abusi edilizi col “piano casa”, ma sul punto in cui la norma sopra citata la consente senza precisare “che deve comunque farsi rifermento alla disciplina «vigente» alla data di realizzazione dell’intervento”.
Secondo la Corte, infatti, questa differenza di contenuto rappresenta un elemento testuale potenzialmente in grado “di indurre l’interprete a ritenere che siano sanabili opere conformi alla disciplina regionale nella sua attuale formulazione, frutto di successivi interventi di modifica, e non a quella vigente all’epoca della loro esecuzione”.
Pertanto, sarà legittima una norma che consente di sanare eventuali abusi col “piano casa”, nel caso in cui si tratti di interventi realizzati dopo l’entrata in vigore della legge sul “piano casa” e di interventi conformi sia alla legge nella formulazione vigente al tempo della presentazione dell’istanza sia alla legge nella formulazione vigente al momento di commissione dell’abuso.