Con la sentenza n. 10/2020, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, sollecitata da una delle Sezioni affinchè dirimesse il contrasto giurisprudenziale sorto negli ultimi anni, ha sciolto tre nodi in merito all’accesso agli atti durante la fase di esecuzione di un contratto concluso da una PA dopo lo svolgimento di un appalto.
Il primo punto chiarito dal Supremo Consesso riguardava la richiesta di accesso agli atti formulata dal privato alla PA in modo generico, ossia senza specificare se sulla scorta della disciplina dell’accesso documentale o di quella in tema di accesso generalizzato, o addirittura cumulando le due domande. Il principio di diritto dato dai giudici è quello per cui la PA ha sempre il potere-dovere di esaminare l’istanza (o entrambe se poste in modo contestuale) di accesso, a prescindere dalla genericità della richiesta, motivando sulla sussistenza o meno dei presupposti dell’una o dell’altra forma di accesso; solo ove l’istante abbia voluto “espressamente e inequivocabilmente” confinare la sua richiesta ad un singolo tipo di accesso (documentale o civico-generalizzato), allora ella potrà limitarsi ad esaminarla sic et simpliciter per quella che è, senza fare riferimenti all’altra forma di accesso.
Il secondo principio di diritto dato dai giudici concerneva la possibilità di accedere agli atti secondo le modalità della l. n. 241/1990 nella fase esecutiva dei contratti pubblici conclusi a seguito di una procedura ad evidenza pubblica. Si è affermato che chi abbia un interesse diretto, attuale e concreto ad accedere (id est, solitamente, gli altri concorrenti alla gara) è legittimato a farlo: anche la fase dell’attuazione dell’accordo deve rispondere sempre ai principi della trasparenza e della concorrenza, in quanto va assicurato -salvo le espresse derogatorie previsioni di legge- che quanto viene eseguito corrisponda all’esito del confronto in sede di appalto. L’Adunanza Plenaria, tuttavia, ha precisato che l’interesse che può validamente fondare tale domanda deve essere preesistente rispetto ad essa: di conseguenza, l’istanza va rigettata quando essa ha sostanzialmente una finalità esplorativa vietata dalla legge ex art. 24, comma 4, della l. n. 241/1990 (nella fattispecie concreta che ha portato poi all’attivazione del Supremo Organo Amministrativo, il privato aveva fatto domanda di accesso documentale alla PA per poter verificare che non sussistesse un inadempimento del vincitore della procedura ad evidenza pubblica poiché, ove tale negligenza vi fosse stata, sarebbe potuto occorrere lo scorrimento nella graduatoria finale di gara ai sensi dell’art. 110, comma 1 del d. lgs. n. 50/2016: tale richiesta, tuttavia, come rilevato dai giudicanti, si fondava su un pretesto del tutto eventuale, ipotetico e dubitativo, e -nella sostanza- voleva mascherare un intento esplorativo).
L’ultimo punto affrontato riguardava la legittimazione dell’accesso civico generalizzato anche nel campo dei contratti pubblici, stante l’art. 53, comma 1, del d. lgs. n. 50/2016 (“il diritto di accesso agli atti delle procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici […] è disciplinato dagli artt. 22 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241”). Relativamente ad esso si erano formati due orientamenti tra le diverse Sezioni: uno favorevole a tale diritto, l’altro contrario, che necessitavano di essere composti in maniera univoca. Secondo i giudici va ammessa tale forma di accesso ampio anche in questo settore. Infatti, da un lato, già lo stesso legislatore ha posto dei limiti temporali alla divulgabilità di materiali inerenti alle gare (art. 53 d. lgs. n. 50/2016), dall’altro lato, la PA è in ogni caso tenuta a ponderare l’interesse fondante la richiesta di accesso con i limiti relativi dell’art. 5-bis del d. lgs. n. 33/2013.