La pronuncia in oggetto trae origine da un regolamento di giurisdizione proposto dallo Studio Legale e Tributario Zen & Parolin in relazione ad un ricorso relativo ad un riconoscimento di servitù di passaggio da parte di un Comune.
Inizialmente il proprietario di un immobile aveva chiesto, con ricorso al Tar, l’annullamento degli atti e dei provvedimenti con cui il Comune si era reso disponibile a riconoscere la servitù di passaggio pedonale, a suo parere in violazione delle norme sulle distanze tra fabbricati, relativa ad un collegamento tra una strada e una spiaggia.
Precedentemente, però, aveva proposto un giudizio civile presso il tribunale ordinario per l’accertamento dell’inosservanza delle norme sulle distanze. Il Comune e il richiedente l’accertamento della servitù eccepivano il difetto di giurisdizione presso il Tar in quanto si trattava di temi sostanzialmente di diritto civile, relativi a diritti soggettivi reali, non incidenter tantum e peraltro già in discussione presso il giudice civile. Veniva fatto notare, inoltre, che nel processo amministrativo non erano stati impugnati i titoli edilizi sulla base dei quali si era costruito.
In altre parole, si sosteneva che il ricorso amministrativo era tardivo.
I Giudici della Corte di Cassazione, riuniti a Sezioni Unite, hanno affrontato il problema di giurisdizione concentrandosi sulla natura degli atti impugnati con il ricorso amministrativo. Viene subito chiarito, infatti, che la sequenza procedimentale oggetto di giudizio non può essere ascritta alla figura degli accordi sostitutivi dell’art. 11 della L. 241/90 in quanto non c’è stata un’attività negoziale sfociante nella formazione di un accordo ma una presa d’atto e la semplice approvazione dello schema di convenzionamento. La mancanza di un accordo determina quindi l’inapplicabilità dell’art. 11 della L. 241/90. Nonostante questo il Collegio ha ritenuto sussistere comunque la giurisdizione del giudice amministrativo. È stato sostenuto, infatti, che se un accordo è mancante, e quindi si debba giudicare la vicenda alla stregua degli ordinari criteri di ripartizione della giurisdizione tra il giudice ordinario e il giudice amministrativo, considerano il petitum sostanziale in funzione della causa petendi, si deve ritenere che l’oggetto del ricorso riguardi un interesse legittimo. Gli atti impugnati hanno un contenuto meramente preparatorio e si collocano nella sequenza procedimentale con cui la p.a. procede all’ apprezzamento dell’interesse pubblico che non ha altro limite se non quello discendente dalla legge, senza che incida il fatto che viene in contatto con la sfera dei diritti soggettivi azionabili dalla parte nei confronti dell’interessato. Il procuratore generale chiarisce il principio dicendo che “la fase preliminare ossia quella antecedente alla stipula del contratto è caratterizzata dalla formazione della volontà della P.A. e come tale rimane nell’ambito del diritto amministrativo disciplinata dalle regole dell’evidenza pubblica, poste dalla legge, dai regolamenti nonché dagli atti generali della stessa Amministrazione, regole che ricomprendono anche la scelta del contraente. “. Ne deriva che l’interesse del cittadino alla legittimità del procedimento con cui l’Amministrazione forma il proprio convincimento di stipulare un negozio esula dall’ambito dell’interesse semplice, assumendo la natura e la consistenza di un interesse legittimo.
Per i motivi sopra esposti è stata, quindi, dichiarata la giurisdizione del giudice amministrativo che dovrà valutare se c’è stata una lesione di un interesse legittimo nella formazione degli atti e dei provvedimenti con cui il Comune si era reso disponibile a riconoscere la servitù di passaggio e a darne destinazione di uso pubblico.